Piccolo sommario: transizione epidemiologica; per una salute mentale di genere (aka Cecilia che si arrabbia); frivolezze non molto leggere.
Un po’ di epidemiologia (e cosa c’azzecca con la salute mentale)
Oggi parto un po’ alla lontana: parliamo di transizione epidemiologica.
La transizione epidemiologica è un concetto chiave che aiuta a valutare lo stato di salute di una popolazione nel corso del tempo, soprattutto durante fasi di crescita economica e sviluppo sociale. Essenzialmente, riflette i cambiamenti nei profili di malattia e mortalità. Nei paesi ad alto reddito, si osserva una prevalenza di malattie non trasmissibili, come le patologie cardiovascolari, il diabete e il cancro, mentre nei paesi a basso reddito dominano le malattie trasmissibili e infettive, come la malaria e la tubercolosi.
Questo passaggio da malattie trasmissibili a non trasmissibili è indicativo di un avanzamento nell'età media alla quale si verificano i decessi (e quindi di un miglioramento nell’aspettativa di vita), ma è importante considerare anche il concetto di Disability-Adjusted Life Expectancy (DALE), che tiene conto non solo della durata della vita ma anche della sua qualità, includendo gli anni vissuti con una qualche disabilità o malattia. Consideriamo quindi la DALE, e oltre ad essa un concetto simile: gli anni vissuti in malattia (years lived with disease/disability, YLDs). La cosa incredibile è che la percentuale degli anni vissuti in malattia è identica tra paesi molto diversi in termine di qualità di vita e salute: in Norvegia la percentuale di anni vissuti in salute è 88.5%, così come in Eritrea. Di certo l’aspettativa di vita è molto inferiore in Eritrea rispetto ai paesi nordici, eppure questo dato ci dà anche conto del fatto che a livello assoluto si vivono molti più anni in cattiva salute in Norvegia che in Eritrea (dati e grafico sotto presi da World Health Statistics 2020, A Visual Summary). Questo, oltre a farci dire che in Eritrea si muore prima, ci fa anche supporre che sebbene l’aspettativa di vita si sia allungata negli ultimi decenni, si sono allungati pure gli anni di malattia. La dico male: già non è facile sostenere i costi dell’invecchiamento “sano”, ma ancora più dispendioso è la gestione dei costi dei grandi anziani malati in media per almeno un decennio (nei paesi ad alto reddito).
Quali sono i fattori che incidono su DALE? Questo paper del 2019 (lo prendo pre-pandemia perchè quelli post 1) non ci sono ancora, 2) non ci sono ancora perchè probabilmente il Covid ha cambiato un po’ le cose) identifica a livello globale (dati raccolti in 204 paesi) 87 fattori di rischio che incidono sulla mortalità e sugli anni di vita vissuti in cattiva salute. Oltre a numerosi fattori ambientali come l’inquinamento dell’aria, l’assenza di acqua potabile, e le temperature non ottimali, ci sono svariati fattori comportamentali: qui entra in gioco la salute mentale e lo psi come professionista (insieme a tutte le altre professioni sanitarie). Infatti, tra i fattori di rischio comportamentali, ecco a voi: il fumo, l’uso (attenzione, l’uso e non l’abuso) di alcool e di droghe varie, una dieta non “bilanciata”, la violenza tra partner, l’abuso sessuale subito quando si è minori, il bullismo, sesso non protetto e scarsa attività fisica. In misura variabile, tutti gli item di questa lista possono azzeccarci qualcosa con la salute mentale e l’intervento di uno psi, in compagnia di altri professionisti.
Inoltre, andiamo anche a vedere le pricipali cause di anni vissuti in cattiva salute a livello globale (sempre inteso come: del globo terracqueo), tratto da un altro paper (questo qui, da cui ho preso anche la tabella qui sotto). La variazione delle cause di anni vissuti in cattiva salute tra 1990 e 2019 è interessante, ma in particolare ciò che preme a me è che al 13° posto ci sono i disturbi depressivi, al 22° l’autolesionismo e al 24° i disturbi d’ansia (oltre che alcuni altri fattori di tipo puramente comportamentale, ma lascio al lettore il piacere di leggersi l’intero paper).
To sum up, alcuni dei fattori che impattano sulla nostra qualità e aspettativa di vita sono comportamentali e/o psicologici, e quindi maggiormente modificabili dal singolo o dai professionisti, soprattutto tramite lo stile di vita. Mentre per quanto riguarda la limitazione di malattie trasmissibili l’intervento più efficace potrebbe riguardare le politiche messe in atto a livello globale o dal singolo paese; per quanto riguarda invece quelle non trasmissibili ci si può(/deve) concentrare sulla prevenzione. La prevenzione passa attraverso un’educazione sensibile al movimento, alla percezione del corpo, all’alimentazione ascoltando il senso di fame e sazietà, e in generale al prendersi cura di sè in un senso di salute globale. La psicologia, oltre a fare prevenzione e promozione dei temi più specificamente “““mentali””” (uso molte virgolette perchè siamo solo meravigliosamente corpo), può anche farsi carico della mediazione di tutti gli altri aspetti: non esiste educazione alimentare senza una comunicazione sensibile e attenta ai bisogni di ognuno, e questo vale anche per l’educazione al movimento e via dicendo.
Uomo misura di tutto?
Sa, dato che l’8 marzo è la famosa/famigerata festa della donna, facciamo un piccolo focus sulla medicina di genere, per arrivare a una salute mentale di genere. Fino agli anni ‘80, la salute femminile era identificata dall’assenza di malattie dell’apparato riproduttivo, e all’organismo femminile veniva riconosciuta una sua specificità solo in riferimento ai caratteri sessuali.
Ho come l’impressione che gli uomini iscritti alla newsletter si siano già fermati prima di leggere questa frase, probabilmente a “medicina di genere”. Spero che mi smentirete e mi direte che sono proprio una prevenuta.
Anyway, til the 1980s (ma direi ancora adesso) si poteva parlare della cosiddetta sindrome del bikini: una donna era interessante (dal punto di vista medico, ma non solo) esclusivamente per le parti coperte dal bikini. È solo nel 1991 che Katherine Haleyn con la pubblicazione del paper Yentl the Yeshiva Boy and the Birth of Gender Medicine denuncia lo scarso riguardo per la salute femminile. Bernardine Haley è una scrittrice e cardiologa americana che in questo paper esplora il concetto di genere e il modo in cui influenza la medicina e la pratica medica. Il titolo fa riferimento al racconto Yentl the Yeshiva Boy di Isaac Bashevis Singer, in cui una ragazza si traveste da ragazzo per poter studiare in una yeshivà (una scuola ebraica). Haley usa questo racconto come punto di partenza per discutere le questioni legate al genere e alla medicina e nel suo paper denuncia i colleghi cardiologi per le minori cure e gli errori grossolani che pesavano sulla salute delle pazienti donne (le donne possono infatti manifestare sintomi di infarto diversi da queli “tipici”, dove per “tipico” si intende maschile).
Adesso, un po’ perchè sono stanca e un po’ perchè (come avrete notato anche nei numeri precedenti) verso la fine divento più tranchante, vi metterò solo qualche dato in pillole sulle differenze di genere nella salute mentale. Anzi, sarò ancora più specifica: parlo per ora solo della malattia di Alzheimer, perchè sono molto stanca. Sarà vostro compito (vi affido questa responsabilità) scrivermi se e cosa vorreste che approfondissi. Mi fido eh. Mi affido pure. Let’s go.
Per quanto riguarda la malattia di Alzheimer, ci sono fattori di rischio biologici sesso-specifici, come la menopausa precoce per le donne e il cancro alla prostata per gli uomini. Così come per la parte bio, ci sono pure fattori di rischio e di protezione psicosociali. La cosa pazzerella e che non mi fa per niente arrabbiare è la seguente: un fattore di rischio per la donna è essere caregiver, un fattore di protezione per l’uomo è essere sposato. Ovvero: le donne che non sono caregiver rischiano molto di meno di sviluppare l’Alzheimer; gli uomini mai sposati o vedovi rischiano molto di più di sviluppare l’Alzheimer. Chissa perchè. Inoltre i sintomi di malattia e la risposta ai farmaci sono diversi tra uomini e donne, ma indovinate su chi fanno i trials clinici per far approvare i farmaci e farli entrare in commercio. In generale i trials clinici per qualsiasi farmaco vengono fatti su uomini bianchi. E anche se adesso qualcosa lentamente sta cambiando, in media il 4% delle donne che usa un farmaco risente di effetti avversi, contro una percentuale inferiore all’1% nell’uomo. Questo proprio perchè le donne ancora non vengono incluse nei trials, se non magari in fasi molto avanzate/tardive della sperimentazione.
Dato che, come sospettavo, questo argomento oltre a farmi arrabbiare, mi ha fatto dilungare troppo senza farmi dire cosa volevo dire, propongo: se vi interessa, scrivetemi, e ne parlerò ancora un pochino in futuro.
PS non ho messo i riferimenti apposta così: o mi scrivete, o approfondite per conto vostro. Se vi infastidisce molto, ditemelo.
Frivolezze
Marzo è il mese dedicato ai disturbi della nutrizione e dell’alimentazione. Ci saranno un sacco di eventi di sensibilizzazione al tema, quindi se monitorate i miei social magari vedrete qualche serata interessante a cui andare.
Ci sono gli oscar eheh e io mi sono dimenticata di farvi contenuti a tema. Se ho voglia/tempo ne farò in futuro (ma se vi interessa l’argomento film&psicologia, scrivetemi, che qualcosa tiro fuori). In ogni caso, parlando di film, questa settimana mi è capitato di intravedere due film che avevo visto tempo addietro: E ora parliamo di Kevin (Lynne Ramsay, 2012) e Elephant (Gus Van Sant, 2003). Entrambi sono stati candidati alla Palma d’Oro di Cannes (Elephant l’ha vinta); entrambi sono liberamente ispirati al massacro della Columbine High School (strage in una scuola USA in cui morirono 12 persone nel 1999). E ora parliamo di Kevin parla di una madre, diventata una paria della sua cittadina perchè suo figlio è stato autore della strage. Elephant ripercorre quella che sembra una tipica giornata a scuola, e la trama segue i punti di vista dei diversi personaggi.
Di film più psi di questi ne ho visti pochi, sono facilmente accessibili da Youtube o Prime Video.
L’avevo già inserito nel primo numero, ma lo rimetto. Si tratta del sito “Psicoterapia Aperta”, in cui potete trovare professionisti a prezzi calmierati. Ho deciso che d’ora in poi lo lascerò sempre presente, nel caso in cui potesse essere utile a qualcuno. Se ti interessa, la piattaforma è questa.
Avete domande? Scrivetemi.
Avete considerazioni? Scrivetemi.
Avete proposte? Scrivetemi.
Per tutto il resto, scrivetemi. Ci riaggiorniamo il 17 marzo.